I sensi della figura
– Giorgio Segato (2006)
A pochissimi mesi dalla sua più recente personale, mi ritrovo a scrivere di Giacomo Cappello, giovanissimo artista che vive l’urgenza del fare pittura come diretto svuotamento della tensione esistenziale, ricerca e poi traduzione in colore delle parti più sensìbili, delicate e reattive del suo sistema nervoso e del suo modo di percepire e di recepire la realtà, quella dei rapporti quotidiani, delle relazioni affettive e quella dei sogni, delle speranze, della volontà di promesse e di certezze.
La condizione esistenziale dei giovani d’oggi è davvero difficile proprio perché manca di prospettive, di campi e tempi lunghi di sogno, di aperture, di possibili scelte e viene sempre più percepita come difficoltà non soltanto espressiva e di comunicazione, ma più in generale come sequenza di sbarramenti, di ostacoli che certo non stimolano la partecipazione o la creatività a sani confronti e a chiare competizioni, ma, anzi, le umiliano, le avviliscono, o perché il mondo degli adulti occupa e satura gli accessi, o per la crisi generale di un’economia che mira solo al massimo profitto con pochi investimenti nell’allargamento dei campi di ricerca e di servizio, o, purtroppo, anche per una cultura che sempre di più sfiducia le energie giovani in funzione di una più alta selettività naturale a basso o nessun costo(rinunce a correre), o sociale (nepotismo), e anche in funzione di eliminazione, o quasi, della concorrenza (l’età del lavoro tende ad alzarsi sia in basso per chi entra, trenta trentacinque anni, sia in alto per chi dovrebbe uscire, settantacinque anni, in politica e in certe professioni sempre più anche oltre gli ottanta).
Farsi da parte sembra diffìcile quanto entrare nel giro, sia negli impieghi che nelle professioni. Il modesto benessere accumulato dai nonni serve ad aiutare una generazione di nipoti e pronipoti sempre più in difficoltà. In questo quadro davvero sconfortante di scoperto confìitto, inventarsi un lavoro, una professione, scoprirsi attitudini, qualità, aspirazioni forti e non velleitarie fin da giovanissimi costituisce una fortuna immensa, un autentico ‘patrimonio’ (specie quando gli stimoli e il sostegno vengono dal padre e dalla madre, come nel caso di Giacomo) che aiuta a tagliare il cordone ombelicale incancrenito, rafforza i sentimenti
di identità, allarga l’orizzonte esistenziale, dilata le panoramiche della mente e del cuore. Giacomo Cappello ha trovato in sé questa energia e la riversa nella pittura quasi fosse materia incandescente, emozione traboccante, sentimento dell’urgenza dell’essere, del definirsi, del darsi un’identità forte e soprattutto riconosciuta, illuminando le pieghe fonde della personalità che si matura e si rischiara . Forse è per questo che tende a ‘bruciare’ le tappe, a mutare con estrema disinvoltura e disinibizione riferimenti formali e tecnici. È impaziente di conoscersi e di farsi conoscere. “Mi pare di aver trovato in queste più recenti opere il bandolo della matassa, un punto di arrivo senza ritorno, dal quale partire davvero con autentica professionalità”, risponde alla mia domanda sul perché tanta urgenza e sul perché di un così netto ritorno alla figura. “Prima cercavo
nelle atmosfere intime, cercando di specchiare nella realtà gli umori, le sensazioni, le scoperte come forma e colore, ritmo, gesto. Adesso è come se mi guardassi da fuori e cercassi di definire meglio un rapporto stabile con il mondo della realtà e delle relazioni, meno soggettivo, meno umorale, con minore insofferenza, anche.” Il titolo della nuova sequenza delle opere è di per sé già molto significativo, “Contrasti armonici”: l’avvertenza del contrasto, del contrappunto, e insieme la ricerca di equilibrio, di armonia ritrovata, con se stesso, con gli altri, con la natura rappresentato qui quasi sempre semplicemente da un fiore, dal profumo di un fiore, quasi una citazione da Paul Valéry “L’opera d’arte non è il fiore, ma il profumo del fiore”, l’arte non è l’oggetto, il quadro, la scultura, ma ciò che esso emana e che sappiamo inalare, sentire.
E Giacomo sembra appunto proporre l’ebbrezza del profumo del fiore, come conoscenza del “Valore dell’animo umano, come nuova consapevolezza della natura che il fiore rappresenta mirabilmente con la possibilità di piena interiorizzazione attraverso i sensi. È proprio questo rapporto col senso della natura e con i sensi della figura che Giacomo Cappello ora cerca ed esplora come tema poetico, come volontà di affermazione di sé nella mediazione necessaria tra realtà della natura naturans e l’incombente, ossessiva, sterilità della natura artificiale. Il fiore diventa così emblema e metafora che accompagna la figura nelle sue esplorazioni sensuali, erotiche, emotive e la figura si impone come valore ritrovato di relazione con il prossimo e con la realtà, nonostante le esitazioni, le ombre, i pochi spiragli di luce che, comunque, continuano a far luce sui gesti, sulle espressioni, sui ricordi, sulle speranze e sui sogni. Stile e cromie si fanno sempre più sicuri, sempre meglio capaci di dire l’inquietudine alta del giovane artista, ma sempre più anche la sua capacità di rinnovarsi, di tostarsi e di dirsi, senza remore, senza troppi debiti, con più sicurezza di appartenenza al mondo dell’arte.
– Giorgio Segato (2006)